In Italia il digital divide è ben presente, il divario tra chi ha accesso alla rete e a internet e chi ancora ne è escluso è stato messo chiaramente in evidenza durante il periodo di lockdown, quando alcune zone del Paese non hanno avuto il supporto alla rete per permettere lo smart working e la teledidattica. Per non parlare di quella che viene definita “rete veloce” che risulta ancora frazionata in numerose città e località della penisola. Ecco quindi che si torna a parlare di rete unica, ma dietro alle buone intenzioni, sarà una valida soluzione?
Progetto ambizioso
La rete unica è un progetto che, con il parere favorevole del Governo, ha lo scopo di realizzare e gestire l’infrastruttura di rete in fibra ottica per fornire connessioni in banda ultralarga a tutta l’Italia. Lo scopo è quello di colmare il notevole ritardo nel settore delle comunicazioni del nostro Paese, oltre a migliorare la qualità delle connessioni veloci dove già sono presenti, offrendone anche una distribuzione più capillare. Semplificando l’attuale situazione si può dire che al momento in Italia ci sono due reti principali che garantiscono l’accesso alla fibra: quella di TIM e quella di Open Fiber (azienda controllata da Cassa depositi e prestiti e da Enel). Open Fiber è nata con due scopi: portare la connessione in quelle aree in cui gli operatori attivi in Italia non volevano investire in infrastrutture stimando che i costi avrebbero superato i ricavi, ed evitare che TIM avesse il monopolio della rete ultraveloce. Ovviamente sia TIM, sia Oper Fiber fornisco l’accesso alle loro reti ad altri operatori nazionali che vendono connessioni internet ai loro clienti. Ben venga quindi la rete unica che potrebbe, se i lavori saranno eseguiti in modo giusto, migliorare notevolmente la situazione. Non dimentichiamo però che questo è un progetto ambizioso e come recita un detto di una famosa pubblicità “la potenza è nulla senza il controllo”.
Cosa comporta la rete unica?
Dietro a questo progetto ci sono situazioni complicate da gestire: idealmente la rete unica si chiamerà AccessCo e sarà controllata da Cassa depositi e prestiti e TIM. Ma il lavoro per arrivare a questo obiettivo dovrà superare ostacoli e richiederà una serie di delicati passaggi. Se tutto andrà secondo i piani il primo passo vedrà TIM impegnata a creare FiberCop, società che coinvolgerà il fondo statunitense KKR e Fastweb e avrà lo scopo di gestire la rete secondaria, ovvero di portare le connessioni in fibra ottica dalle centraline di quartiere alle abitazioni degli utenti sostituendo i cavi in rame. In seguito FiberCop confluirà in AccessCo che entro il primo trimestre del 2021 vedrà la fusione tra FiberCop e Open Fiber. La fase finale vedrà AccessCo controllata congiuntamente da Cassa depositi e prestiti e TIM, accordo questo particolarmente “complicato” che creerà non pochi problemi con l’antitrust dato che dovrà garantire la massima indipendenza e trasparenza della società che dovrà anche offrire la vendita dei servizi agli altri operatori italiani, senza favorire TIM (che al momento appare come socio di maggioranza). L’autorità antitrust italiana, l’AGCM dovrà prendere una decisione in merito sempre che la questione non finisca nelle mani dell’Antitrust europeo. Permangono poi altri dubbi, per esempio come verrà gestito questo progetto con l’arrivo del 5G che in futuro dovrebbe soppiantare le connessioni in fibra. E se tante polemiche ha causato la presenza cinese nelle infrastrutture 5G, altrettante potrebbe causarne la rete unica per il rapporto fra tutela dei dati e la presenza di società extracomunitarie (oltre che comunitarie) nell’assetto societario di AccessCo. Una situazione per cui da più parti si richiede il coinvolgimento del Garante per la protezione dei dati personali. TIM ha una partecipazione francese con Vivendi, Fastweb è parte del gruppo svizzero Swisscom, ma quello che preoccupa maggiormente l’opinione degli esperti di settore sono i soci extraeuropei fra cui è presente KKR, un fondo americano del cui istituto è Presidente l’ex direttore della CIA, David Petreus.
Analizzare il “dopo”
Se il progetto andrà in porto, la rete unica fornirà connessioni potenti alla portata di tutti, ma alcune domande sorgono spontanee: l’Italia saprà sfruttare e avvantaggiarsi dall’uso di questa tecnologia? Avverrà finalmente il tanto agognato passaggio a una vera pubblica amministrazione in digitale? Le aziende che ormai sfruttano ampiamente la rete per gestire gli affari faranno investimenti ad hoc per migliorare le proprie infrastrutture? Tornando al vecchio detto, già citato in apertura, la potenza è niente senza il controllo: una rete nuova e veloce a cui si accede con infrastrutture secondarie lente ed obsolete non porterà a nulla di buono, e ad avvantaggiarsi di questa nuova situazione potrebbero essere hacker e cybercriminali pronti a sfruttare le nuove tecnologie con attacchi sempre più concentrati. La rete veloce è essenziale per lo sviluppo del Paese Italia, ma è importante tenere in considerazione che sono (e saranno) essenziali nuovi investimenti per la sicurezza e per gli upgrade. Non dimentichiamo infatti che la trasformazione digitale avvantaggia notevolmente le aziende ma ne rende più vulnerabili le architetture di rete e la loro sicurezza ed è quindi necessario proteggersi dalla violazioni di dati, dai malware e dagli attacchi ransomware sempre più frequenti.
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