
Il panorama delle minacce informatiche sta attraversando un’accelerazione senza precedenti. Secondo l’ultimo report di Cisco Talos, le campagne cyber sono sempre più mirate, sofisticate e rapide. I criminali non solo affinano le tecniche, ma adottano strumenti tecnologici avanzati che potenziano l’efficacia degli attacchi. L’intelligenza artificiale, in particolare, sta diventando uno degli strumenti più ambiti anche all’interno dell’ecosistema cybercriminale.
Non si tratta più soltanto di malware scritti a mano o phishing improvvisati: oggi i gruppi criminali utilizzano modelli linguistici evoluti per automatizzare truffe, scrivere codice dannoso e identificare vulnerabilità con una velocità e una precisione senza precedenti. È un cambio di passo che impone a imprese, enti pubblici e organizzazioni di rivedere il proprio approccio alla cybersicurezza, tenendo conto di uno scenario che evolve di pari passo con le tecnologie emergenti.
A questo si aggiunge un altro dato allarmante: il numero di attacchi reali registrati sul territorio italiano è in crescita, e il tessuto imprenditoriale ne sta pagando le conseguenze in modo tangibile.
IA e cybercrime
L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare, comunicare e proteggere i dati. Ma come ogni tecnologia, anche l’IA può essere manipolata e trasformata in un’arma. Oggi, i cybercriminali hanno iniziato a sfruttare i modelli linguistici avanzati (LLM) non solo per scrivere codice o automatizzare attività, ma per potenziare truffe, generare malware e colpire più rapidamente infrastrutture digitali vulnerabili.
Le piattaforme AI più diffuse sono protette da sofisticati sistemi di sicurezza: filtri, meccanismi di allineamento capaci di bloccare richieste pericolose. Tuttavia, l’ecosistema dell’IA è molto più ampio e difficile da controllare. Esistono infatti modelli “non censurati”, privi di freni etici, facilmente reperibili online e utilizzabili anche su computer personali, come nel caso di Ollama. Alcuni di questi modelli vengono addestrati appositamente per attività illecite. FraudGPT, ad esempio, è un modello progettato per creare truffe via email, generare codice dannoso, trovare vulnerabilità nei siti web e costruire strumenti automatici per il furto di dati. Un altro caso emblematico è WhiteRabbitNeo, presentato come assistente per esperti di sicurezza, ma facilmente convertibile in uno strumento per la produzione di contenuti dannosi.
A rendere ancora più preoccupante il fenomeno è la possibilità di forzare anche i modelli legittimi. Attraverso particolari tecniche i criminali riescono a manipolare le richieste in modo da ingannare i sistemi di protezione dell’intelligenza artificiale. In pratica, una domanda pericolosa viene camuffata con formule ambigue o ingannevoli, inducendo il modello a rispondere comunque, superando così i filtri di sicurezza.
Il paradosso è evidente: le stesse funzioni che rendono l’intelligenza artificiale uno strumento utile, sono oggi sfruttate da attori malevoli per finalità completamente opposte. Le analisi più recenti rivelano che queste tecnologie vengono utilizzate per creare malware sofisticati, generare email ingannevoli, scovare falle nei sistemi informatici e offuscare codice in modo da eludere i controlli automatici.
Secondo Cisco Talos, l’IA non sta cambiando la natura degli attacchi informatici, ma ne amplifica l’efficacia. Automatizza processi che prima richiedevano tempo e competenze avanzate, abbassa la soglia d’ingresso e aumenta la velocità con cui gli attacchi possono essere lanciati. In altre parole, non sta riscrivendo le regole del gioco, ma sta rendendo i criminali informatici più veloci, efficienti e difficili da fermare.
Un dato che pesa
Nel contesto già complesso del cybercrime potenziato dall’intelligenza artificiale, un nuovo report merita attenzione. Secondo un’indagine condotta da QBE Italia, realtà assicurativa internazionale che valuta anche i rischi informatici tra i propri ambiti di intervento, su 400 aziende italiane di medie dimensioni, quasi la metà ha subito almeno un attacco informatico nell’ultimo anno, e in oltre la metà dei casi si sono registrate conseguenze dirette sul fatturato aziendale.
Non si tratta di numeri isolati né di una statistica gonfiata: il report in questione è stato redatto per analizzare i rischi cyber non per ragioni tecnologiche, ma assicurative. Il suo punto di vista, quello di chi deve calcolare l’effettiva probabilità di un danno per stabilire premi e coperture, offre una prospettiva molto concreta su quanto siano reali – e costose – le minacce digitali per il tessuto imprenditoriale italiano.
Spesso si tende a credere che le aziende più piccole siano poco interessanti per i criminali informatici. La realtà è ben diversa. Gli attacchi informatici colpiscono trasversalmente ogni comparto, e il nostro Paese si conferma una delle destinazioni preferite dai gruppi cybercriminali internazionali. Non è questione di dimensioni o di “visibilità” aziendale: ogni organizzazione con un’infrastruttura digitale è un potenziale bersaglio. In particolare, quando mancano presìdi minimi come aggiornamenti costanti, backup sicuri e sistemi di difesa attivi.
Anche se le percentuali variano nei diversi report – a seconda delle metodologie, dei campioni analizzati e del periodo di osservazione – la tendenza è inequivocabile. L’Italia è un bersaglio maturo per gli attacchi informatici, e il danno economico non è più un’ipotesi ma una realtà documentata. Dalle PMI alle aziende strutturate, la mancanza di un piano di sicurezza solido può tradursi in perdite dirette, blocchi operativi, sanzioni e perdita di reputazione.
Password deboli, rischio concreto
Mentre le tecniche degli attaccanti diventano sempre più sofisticate e automatizzate grazie all’intelligenza artificiale, molte organizzazioni restano esposte per un motivo sorprendentemente banale: l’utilizzo di password deboli. È un paradosso che si ripete con cadenza regolare nei report di settore. L’ultima analisi di NordPass, realizzata in collaborazione con specialisti del monitoraggio dei data breach, ha mostrato come le credenziali più comuni nel mondo siano ancora sequenze prevedibili come “123456”, “password” o “admin123”. Milioni di utenti – inclusi quelli in ambito aziendale – continuano a utilizzare combinazioni semplici, facilmente aggirabili da strumenti automatici di attacco. Le conseguenze sono importanti: l’accesso non autorizzato a un solo account può innescare catene di compromissioni interne, bloccare interi sistemi o esporre dati sensibili alla diffusione non controllata.
Ma la situazione è ancora più critica se si guarda ai risultati dello studio condotto da Specops. Analizzando un campione di dieci milioni di password compromesse, su un database originario di oltre un miliardo di credenziali, i ricercatori hanno scoperto che solo l’1,5% delle password esaminate può essere considerato effettivamente “forte”. In altre parole, la quasi totalità delle chiavi d’accesso oggi in uso nel mondo reale non rispetta neppure i requisiti minimi di robustezza.
I criteri adottati da Specops erano stringenti, ma perfettamente giustificati: una password deve essere lunga almeno 15 caratteri e contenere almeno due tipi di caratteri diversi per garantire una resistenza sufficiente agli attacchi brute force. Nonostante ciò, la stragrande maggioranza delle password in circolazione resta sotto gli 8 caratteri, spesso composta da un solo tipo di simbolo, e dunque violabile in tempi brevissimi da qualsiasi attaccante dotato di GPU o botnet.
L’analisi ha evidenziato anche un altro dato preoccupante: solo una minima parte delle credenziali supera la soglia dei 15 caratteri. Questo dimostra come, in molte organizzazioni, manchino policy di sicurezza efficaci o, peggio ancora, come le policy esistenti non vengano applicate né verificate. Eppure, incrementare la lunghezza anche di pochi caratteri moltiplica esponenzialmente il numero di combinazioni possibili, rendendo di fatto impraticabile un attacco di tipo brute force anche per sistemi molto potenti. Bastano quattro caratteri in più su una password di 12 lettere per aumentare il livello di difficoltà di 78 milioni di volte.
A fronte di questo scenario, si fa sempre più urgente un cambiamento di approccio. Le password complesse non sono più una raccomandazione: sono una necessità. E proprio per questo Hypergrid propone l’integrazione del password manager NordPass tra le proprie soluzioni. Si tratta di uno strumento professionale che permette di generare automaticamente password sicure, archiviarle in modo cifrato, sincronizzarle tra dispositivi e condividerle in modo controllato tra colleghi o reparti. Non è solo una misura tecnica: è una risorsa che semplifica la vita agli utenti, riduce gli errori di gestione e contribuisce alla conformità normativa, ad esempio con il GDPR o con gli standard previsti dalla ISO 27001.
Molte aziende italiane, come mostrano anche i dati QBE, si ritrovano colpite da attacchi informatici che avrebbero potuto essere evitati con misure di base ben implementate. L’adozione di password manager certificati e integrati in un ecosistema di cybersecurity rappresenta oggi una delle prime linee di difesa per PMI, enti pubblici e organizzazioni sanitarie. Perché nella maggior parte dei casi, il punto d’ingresso di un attacco è ancora una password sbagliata.
Dalla consapevolezza alla protezione
La crescita del cybercrime, l’abuso dell’intelligenza artificiale e la fragilità delle credenziali aziendali non sono più scenari futuri: sono problemi attuali, concreti, che colpiscono imprese italiane ogni giorno. I dati non lasciano spazio a interpretazioni ottimistiche: quasi la metà delle aziende ha già subito un attacco e nella maggior parte dei casi le conseguenze si sono riflesse direttamente sul piano economico. La sottovalutazione del rischio, unita all’adozione di soluzioni standard o non personalizzate, espone le organizzazioni a minacce sempre più evolute, rapide e automatizzate.
In questo contesto, Hypergrid affianca PMI, enti pubblici e realtà regolamentate con un approccio su misura, progettato per offrire protezione reale e duratura. Le soluzioni comprendono password manager professionali, sistemi firewall intelligenti (basati su tecnologie Cisco), monitoraggio infrastrutturale continuo, segmentazione delle reti, backup cifrati, e una posta elettronica protetta e certificata, gestita su cloud nazionale o su server locali proprietari. Ogni servizio è configurato in base alle esigenze specifiche del cliente, con tempi di risposta rapidi, tecnici locali e assistenza costante.
La cybersicurezza non può più essere considerata un’opzione accessoria o una voce da comprimere nei budget IT. Oggi è un elemento strategico, alla base della continuità operativa e della fiducia di clienti, fornitori e partner. Scegliere Hypergrid significa affidarsi a un team che conosce il territorio, parla la lingua delle imprese italiane e costruisce soluzioni accessibili, efficaci e in linea con le direttive nazionali ed europee. Chiamaci al numero 0382 528875 per una consulenza gratuita e scopri i nostri servizi alla pagina https://hypergrid.it
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.